venerdì 3 settembre 2010

La profumata esistenza di Carmela Aburrida – ex La rosa di Mela.

Carmela Aburrida, quand'era piccola, dormiva in compagnia dei ticchettii.
Ce n'erano di tre tipi: uno secco e deciso, dell'orologio grosso e tondo attaccato al muro; l'altro, più discreto ma continuo, quello che esplodeva nel fragoroso suono della sveglia al mattino; l'ultimo, delicato, dell'orologio che le stringeva il polso destro, di cui riusciva a distinguere chiaramente l'avanzare delle lancette, anche quando prima di addormentarsi lo metteva sotto al cuscino. A quest'ultimo era particolarmente affezionata, perché le piaceva tantissimo quella sottile eco, fra un secondo e un altro.
Saranno quei ticchettii a renderla piacevolmente schiava delle proprie ossessioni.

A 45 anni, Carmela Aburrida odiava ogni ticchettio e tutti gli orologi di casa erano fermi. Non venivano caricati da almeno una ventina d'anni, benché Carmela provasse, qualche volta, a rimettere le batterie a qualcuno, per vedere se ne ricordava il tic tac. Non riusciva però ad ignorarli a lungo e si trovava presto a tirar fuor le pile con estremo nervosismo.

Carmela Aburrida non aveva bisogno di lavoro, era molto ricca e avrebbe vissuto di rendita ancora per molti anni. Abitava, sola, in un enorme casolare bianco, appena fuori da Mèrida, dove il sole brucia la rossa terra dei tori e degli sparuti ulivi.
Le ore calde della giornata le trascorreva dedicandosi al roseto che contava almeno un esemplare per specie. Ennesima testimonianza della sua eccezionale meticolosità, le rose erano state coltivate secondo un ordine cromatico, dal limpido pallore delle Julia Renaissance al denso Brown Velvet.

La mattina, appena sveglia, ancora in camicia da notte, faceva un primo giro d'ispezione, seguendo un itinerario diverso a seconda che si trattasse di giorni pari o giorni dispari.

Calpestava scalza la breccia e il gesso del viale bordato di alti e odorosi cespugli di rosmarino che portava dal casolare alla strada, dove talvolta incrociava uno degli ultimi asini neri affaticati, trascinati da altrettanto neri contadini avari d'un che minimo cenno di saluto. Controllava la cassetta delle lettere e così com'era arrivata se ne tornava indietro.
Il postino passava una volta ogni due giorni, Carmela lo sapeva bene, ma l'abitudine di andare a controllare quotidianamente quella cassetta di ferro rossa di ruggine, le era rimasta da quella volta in cui da ragazza, aveva trovato un bocciolo di rosa, appassito e profumato dal calore di quella giornata di maggio, lasciato da uno sconosciuto, probabilmente per lei.

La bellezza di Carmela non era sufficiente a riscattarla, agli occhi degli uomini che incontrava, da tutte quelle sue piccole, ma necessarie manie. Quand'era più giovane e evidentemente più discreta, c'erano diversi uomini che l'avevano lusingata corteggiandola e lei aveva ceduto senza indugi. Solo uno però le si è insinuato fra i ricordi: un giovane alto e fiero che le aveva baciato la mano per coglierne la fragranza di basilico, a cui si offrì nella serra delle rose.

Erano tanti anni che non parlava con qualcuno, ormai rivolgeva le sue migliori parole a quelle rose che la rendevano tanto fiera.

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